ARTICOLO pubblicato su nuove GeneraAzioni Solidali di marzo 2020, pag.24

CAMILLO BIGNOTTI

IL CANTO DEL GHIACCIO

(MACCHIONE EDITORE)

 

Camillo Bignotti, l'autore del bel romanzo dal titolo "Il canto del ghiaccio" è un ingegnere varesino, appassionato della storia delle valli varesine e già autore di due pubblicazioni che pongono al centro dell'attenzione squarci della stona e del paesaggio della Valganna e Valcuvia: "Il balcone della Valcuvia" e "L'eroico romanzo di Bedero Valcuvia".

 

In questo romanzo, "Il Canto del ghiaccio", si raccontano le vicende di un giovane nato e cresciuto tra Bedero Valcuvia e Ganna ai tempi della grande guerra.

Il monte Piambello e la piccola chiesetta di Campobella, il lago di Ganna e gli scenari che caratterizzano la vita di tutti i giorni, insieme allo stupendo paesaggio che li circonda, sono raccontati e descritti con passione e grande conoscenza storica e artistica

 

Il duro lavoro e le non facili condizioni di vita di quei tempi non consentono grandi svaghi, ma sono allietati dal rapporto con una giovane di cui si innamora e che lo accompagnerà nelle acquisizione di notizie sulle origini e sulle vicende della chiesa, di cui la ragazza è a conoscenza, essendo la discendente del costruttore di quel piccolo monumento.

 

"Il canto del ghiaccio" è un libro interessante, di facile lettura, con fotografie e didascalie dei luoghi raccontati, che denotano notevoli conoscenze storiche, paesaggistiche e competenze artistiche.

 

Alla fine si resta affascinati dalla bellezza e dalla poesia di alcuni passaggi del racconto, come quando descrive il "crepitio sommesso che faceva il ghiaccio della torbiera appena a mettere sopra un piede e vedevi una miriade di crepe diffondersi a  ragnatela sotto la superficie" e con "il ghiaccio che canto" Pietro, il protagonista, si lascia "scivolare via"…

 

ARTICOLO pubblicato su Facebook

Recensione di Giuseppe Bardelli

02 giugno 2019

Un percorso tra storia e leggenda, natura, arte e bellezza: qui ci accompagna Camillo Bignotti.

Conosciamo persone del passato contadino confrontati con la povertà e la fatica del vivere di quei tempi, ma sempre valide nel nostro presente per le loro mancanze, le loro gentilezze, i loro rancori ma anche la loro bontà e delicatezza nelle piccole cose quotidiane.
La sua scrittura è piacevole e coinvolgente, capace di descrivere paesaggi come se fossimo lì e persone come se le conoscessimo da sempre, come fossero nostri vicini o amici al punto che alla fine del racconto ci dispiace lasciarli dopo aver condiviso con loro parte della loro e della nostra vita.
Da leggere e da desiderare ancora altro da leggere.

 

 ARTICOLO pubblicato su Facebook e sul blog "Thriller Stoci e dintorni" - LINK

Recensione di Alessandra Ottaviani

23 marzo 2018

Campobella è una piccola frazione di Ganna nel comune di Valganna in provincia di Varese. Arroccata su un promontorio si trova la chiesetta di Santa Croce in Campobella che è un piccolo gioiello purtroppo abbandonato all’incuria. Questo romanzo ne racconta la storia attraverso gli occhi di Pietro, un ragazzo di una famiglia povera dei dintorni, con una grande passione per l’arte e la curiosità per le cose belle da don Rocco, il parroco del paese. Nonostante le sue umili origini, Pietro sa trovare la serenità e la gioia di vivere dalle piccole cose quotidiane come l’amore per la famiglia e i giochi di bambino; il lavoro del padre taglialegna lo porta ad avere un contatto intimo con la natura circostante. Proprio nel vicino lago ghiacciato di Ghirla spesso ritrova la pace. Nel profondo silenzio ascolta il suono del ghiaccio che lui definisce un vero e proprio canto.

“Il canto che ne usciva era un suono impossibile da descrivere, come un sibilo sordo. Una melodia che gli liberava la mente, gli permetteva di riflettere e rimettersi in connessione con il tutto.”

Pietro è un personaggio dall’animo puro e delicato, un ragazzo dalla profonda sensibilità che si scontra con la realtà amara che gli sta intorno, ovvero la guerra. Lo scoppio del primo conflitto mondiale lo strappa alla sua spensierata fanciullezza, catapultandolo nell’orrore delle trincee, negli stenti e nella disumanità, perché questo in fondo è la guerra.

“Un boato talmente forte da renderti momentaneamente sordo e nel silenzio della morte vedere i tuoi amici e compagni scaraventati in aria da una mina sapientemente piazzata ………
…..Le lacrime di un vecchio alpino accovacciato e con la testa tra le mani in una umida e fredda trincea, la pioggia battente e incessante che inzuppa e appesantisce il terreno ma non riesce a lavare via il sangue.”

Pietro è costretto a partire e, proprio come suo padre, viene colpito dall’impietosa quanto violenta febbre spagnola. Proprio in preda ai deliri del morbo, in un ospedale da campo, il giovane ricorda con estrema dolcezza la bellezza di quella chiesa in cui si è imbattuto per caso e in cui è rimasto sconvolto dalla magnificenza degli affreschi semi distrutti e folgorato dallo sguardo di una ragazza sconosciuta.


“Un attimo durato un’eternità , si era semplicemente perso in quello sguardo”.

 

A tutti i costi voleva ritrovare quegli occhi
“capaci di ridare un senso a tutto quel malessere e tanto speciali da aver messo in secondo piano tutto: la fatica, il fango, la guerra, la paura e la miseria.”
E proprio in quella chiesa Pietro ritrova la ragazza e si abbandona ad una tenera passione, una follia tra sconosciuti.

 


Ho trovato il romanzo scritto in maniera sensibile e impeccabile, trasuda amore per l’arte. Gli affreschi riportati con delle foto nel libro sono eccezionali, sono utilizzati colori intensi e disegni vividi. Ringrazio l’autore per aver concesso che le utilizzassi sulla recensione

Ho amato molto il  personaggio di Pietro, un ragazzo fuori dal comune con cui si crea subito una sorta di empatia con il lettore, soprattutto quando non riesce a capacitarsi di come l’uomo, spesso distolto da altri interessi, possa ignorare completamente le tantissime opere d’arte disseminate nel nostro territorio e lasciarle marcire anziché prendersene cura, perché oltre ad essere il nostro patrimonio sono anche la nostra storia.
 

Ho percepito l’intento dell’autore di voler cancellare e sovrastare tutto l’orrore della guerra con quelle immagini di splendore e con la tenerezza di quell’amore appena germogliato.

ARTICOLO pubblicato sul blog letterario CHILI DI LIBRI - LINK

Recensione di Daniela

06 marzo 2018

Pietro è nato il 14 aprile del 1900, una data storica.

Cresce in provincia di Varese, assiste ai mutamenti di quel periodo: la ferrovia, i vacanzieri che da Milano iniziano ad andare sul lago d’inverno per pattinare, i soldati che confiscano terreni per costruire barriere contro il futuro invasore che attaccherà attraversando la Svizzera. E, ovviamente, lo scoppio della Grande Guerra.

Suo padre è richiamato alle armi, deve partire per combattere e lui, ancora troppo piccolo, resta a casa con sua madre, la Lena. Donna minuta e forte, non resiste alla partenza del marito, il Tögn, e si richiude in se stessa, sotto strati di scialli, a guardare fuori dalla finestra, in attesa di vederlo svoltare l’angolo.

Quando poi anche il figlio le comunica che parte, per scavare trincee, allora il cuore le si spezza.

Era rimasta immobile con lo sguardo fisso a quell’angolo di strada. Ma non vedeva più né l’angolo, né l’acciottolato, né la casa. Le lacrime le avevano affogato gli occhi, e nel tentativo di mantenere una dignità che sapeva di aver perso esattamen te dal giorno della partenza del marito, era rimasta ferma. Incapace di proferir parola e ferita al cuore più di quanto non pensava si potesse sopportare. Pietro le si era avvicinato per abbracciarla, ma la Lena, decisa a ricominciare a combattere, si era alzata in piedi di scatto, aveva recuperato due ciocchi di legno che il Tögn aveva ordinatamente accatastato prima di andarsene, riacceso il fuoco ormai spento da tempo e riempito il bricco per il caffè.

“Non vorrai certo partire senza aver prima bevuto un buon caffè di ghiande bollente!” gli aveva detto con gli occhi ancora lucidi.

Pietro le aveva sorriso e l’aveva finalmente stretta forte.

Del Tögn, che temeva solo la moglie e nessun altro, Bignotti ci dice che mentre correva per salvarsi, dopo la disfatta di Caporetto:

Piangeva il Tögn, come un bambino, anzi no, come un uomo. Perché quando un uomo di montagna come era il Tögn, cresciuto faticando nei boschi, abituato a combattere e a soffrire per portare la pagnotta a casa, piange, non è certo paragonabile al pianto di un bambino. Sono lacrime che sgorgano dall’anima, che la asciugano.

 

Pietro va, lavora, e fa due incontri che lo segnano: il primo è una chiesetta, che lo affascina e lo incuriosisce. Tornerà a vederla di nascosto, cercando di scoprirne la storia.

L’altra è Nina, che lo ammalia con i suoi occhi azzurri. Lei saprà soddisfare la sua curiosità, poiché di quella chiesetta e della sua storia le raccontava sempre il nonno.

Bignotti ci porta in un tempo lontano, giocando con flashback e ritorno al presente della storia. Arricchisce il libro con foto d’epoca e più recenti.

Un libro dolce amaro, in cui la Guerra entra prepotentemente nella vita delle persone e la sconvolge. Un libro dove il futuro non è come ce lo si è prospettato, dove non importa quante regole e indicazioni d’uso si predispongano, alla fine le cose seguono il proprio corso e nessuno può definire ciò che sarà.

Un libro infine, come scrive Massimo Rovati

dove la padronanza del mezzo espressivo linguistico, senza scadere nel tecnicismo fine a se stesso, si fa notare dall’inizio al bellissimo, sognante epilogo.

 

 

ARTICOLO pubblicato sul gruppo Facebook "Un libro tira l'altro"

Recensione di Giusy SIcari

01 febbraio 2018

Questa è la storia di Pietro, un ragazzo cresciuto tra Bedero Valcuvia e Ganna e nato nell'ormai lontano 1900.
Pietro si ammala gravemente di "influenza spagnola"...Sarà proprio durante la malattia che ripercorrera' mentalmente la sua vita.
Partono così i ricordi più significativi di un ragazzo che avrà molto da "raccontare" al lettore..Ricorderà una ragazza, i suoi occhi... Ricorderà una piccola chiesetta dalla storia affascinante, spettatrice silenziosa del loro amore. Rievochera' anche il suono suggestivo del "canto del ghiaccio" da cui prende il nome il libro.

L' autore non decide di narrare in fabula, sceglie l'intreccio con annessi flashback, in modo da poter spaziare in un tempo che raggruppa ben due secoli di storia, da fine '600 fino ad arrivare alla grande guerra, attraverso salti temporali che mantengono dinamica la lettura.

Un libro a mio avviso "concentrato", infatti in 169 pagine troviamo...
- Un bellissimo racconto che ci trasporta nel passato, tra guerra, amore e nostalgie.
- Uno spaccato storico tutto nostro, italiano.
- Un libro che parla di arte e architettura.
- L' autore ci regala anche bellissime cartoline d'epoca che partono da fine '800 ma anche suggestive immagini degli affreschi della chiesetta di Santa Croce in Campobella.
- Un romanzo significativo anche sotto il punto di vista umano.
Le vicende raccontate attraverso i personaggi, i loro obblighi, le loro scelte e speranze. 
Uomini come il padre di Pietro, inviato al fronte o come Pietro che decide di unirsi agli operai per la costruzione di una linea difensiva. Donne forti come la madre, o passionalmente folli come la ragazza di cui questo ragazzo non può dimenticarne gli occhi.

È possibile trovare tanto materiale in poco più di 160 pagine?
Sì, è possibile. L'autore è riuscito benissimo in questo.

Un libro adatto a tutti, soprattutto agli amanti del genere storico, agli appassionati di arte, architettura e cultura.


Sicuramente una lettura che arricchisce.

 

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