di Adriano Brazzale - professore

Bisuschio, 29 giugno 2018

 

“Io penso che ognuno di noi abbia uno scopo, che abbia avuto il dono della vita per un motivo ben preciso … facciamo tutti parte di un grande disegno, ognuno con un preciso compito, non importa se apparentemente grande o piccolo …”

 

Sono le parole che, ad un certo punto del racconto, Camillo Bignotti fa pronunciare a Gigi “sega”, uno dei personaggi più originali del suo ultimo romanzo, in un dialogo con l’amico Cecco e che rappresentano una delle chiavi di lettura del libro o meglio ancora, “il nocciolo della questione” come, in un altro passaggio, viene ribadito nel dialogo animato tra i due fratelli gemelli, Beppe e Meme.

 

Parole che, (insieme ad altre che lascio alla personale scoperta di ciascun lettore) introducono nella narrazione una dimensione universale capace di far superare i confini temporali di una storia d’altri tempi, piacevole da leggere, ma che facilmente rischierebbe di rimanere prigioniera del passato.

 

Certo, nel romanzo “Rosso sangue” non si può non riconoscere l’abilità e la capacità narrativa dell’autore che ha saputo magistralmente raccontare una storia, quella di san Gemolo e del suo potere taumaturgico, da una parte rimanendo fedele fin nei dettagli a ciò che le fonti storiche e la tradizione orale ci hanno fatto pervenire, dall’altra offrendocene una lettura nuova e originale, dal linguaggio espressivo accattivante e in grado di stuzzicare la curiosità del lettore fino all’ultima pagina.

 

Detto questo, non volendomi avventurare oltre in analisi critiche di carattere stilistico-letterario, torno volentieri allo spunto iniziale per aggiungere un’ultima osservazione. Il romanzo è popolato da un’umanità semplice e variegata, attraverso la quale emerge, come un filo sottile, la domanda sul significato della vita e sul destino. Come una sorta di invito, questa domanda raggiunge il lettore perché non resti un semplice spettatore della vicenda narrata ma accetti di lasciarsi provocare da essa. Un bel attestato di stima nei confronti di un santo che “ha accettato la morte per amore di Dio. Un unico e semplice gesto che ha cambiato non solo la sua, ma la vita di tanti altri...”.

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